~ Estratto da “La casa sul limitare del castello” di Rosanna Cassano ~
La controra si fece docilmente spazio per le strade, si appoggiò sui tetti delle case e sostò sulle finestre semichiuse.
Dilatò la quiete, rendendo lievi i passi e le parole.
Vincenzo dormiva e Maria si alzò dalla sedia per riattivare le gambe intorpidite. Con un movimento silenzioso delle labbra che recitavano un Padre Nostro si avvicinò alla finestra e osservò da dietro i vetri la donna che camminava, silenziosa, con un secchio colmo d’acqua appena riempito alla fontana e considerò, in cuor suo, che non si sarebbe mai rivolta a lei per alleviare i dolori di Vincenzo.
Alta e perennemente vestita di nero, colore ripreso anche dai capelli e dagli occhi, possedeva una figura longilinea ed un portamento eretto.
Nessuno sapeva come fosse arrivata in paese e di cosa esattamente vivesse. Le uniche informazioni ufficiali dicevano che fosse originaria della Sardegna e che il suo nome era Vitalia.
Beffardo scherzo del destino per una donna che portava un nome inneggiante alla vita e che invece, voci che circolavano sul suo conto, davano per angelo della morte.
Anche se nessuno poté mai confermarlo, si sussurrava che fosse una “accabadora”: colei che, consapevole del gioco delle ore tra la vita e la morte, procurava anzitempo quel riposo eterno che spettava a corpi ormai stanchi e malati.
Incurante degli sguardi malevoli e timorosi di giorno, si diceva che aspettasse la notte per esercitare il suo lavoro, quando la gente era già sotto le coperte.
Si diceva che la sua ombra sfilasse lungo i muri delle case per le strade deserte.
Chi è affetto da un male incurabile muore: ma anche chi lo accudisce soffre e viene scavato dal dolore.
In una notte di luna piena udii il fruscio di una sottana, che passava rasente al muro, fermarsi improvvisamente davanti ad una porta.
<<Spegni le luci>> ordinò Vitalia a colei che le aprì l’uscio e fece cenno di seguirla.
Col volto già coperto socchiuse la porta dove giaceva il malato: immagine amara ciò che vedeva ogni volta sul letto. Il male fisico rendeva doloroso persino respirare.
<<Avete sistemato tutto, come vi ho detto?>>.
L’altra fece cenno di sì con la testa ed una pioggia delicata di lacrime scivolò giù per le guance.
<<Lasciateci soli, vi avviso io quando tutto sarà finito>>.
Vitalia per il suo lavoro non poteva sfuggire alle afflizioni umane e decideva volta per volta quale pratica usare.
Era una donna che emanava una luce oscura e conosceva la forza della morte, anticipata da ciò che conteneva la sua borsa.
Quando il sofferente si accorgeva di lei, mormorava: <<Allora manca picca cu vocu all’otru munnu[1]>>.
Di lì a poco un buio consolante avrebbe spento ogni rantolo.
Alzai gli occhi fino alle stelle e vidi l’anima che si spediva direttamente a Dio.
E soltanto io sapevo in quale casa lo spiraglio tra la dimensione terrena e quella spirituale si fosse appena chiuso.
[1]Allora manca poco che io vada all’altro mondo.

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