Finalmente ti ho zittita. Quanto ero stanco di sentirti piangere ogni volta che ti picchiavo. Era colpa tua, mi costringevi a farlo per insegnarti a non fare piΓΉ errori e ad abbassare lo sguardo quando gli altri uomini si accorgevano della tua bellezza.
E devo ammettere che col tempo stavi migliorando. Eri diventata persino brava a coprire i lividi che, sfortunatamente, ti rimanevano sulla pelle.
Quando tua sorella ti chiedeva cosa fosse successo, tu rispondevi che eri caduta dalla scala mentre pulivi il lampadario.
Grande, amore mio, che attrice eri in quel momento! Poi, un giorno, ti ho vista fare quel particolare gesto: quello in cui si abbassa il pollice, ci si poggiano le altre dita sopra e la mano diventa un pugno.
Serve a chiedere aiuto, vero? Ne parlavano tanto in televisione e sui social, per questo l’ho riconosciuto subito.
E tua sorella ha capito. Così ho dovuto fermarti. Pensavi di potermi lasciare e trovare un altro? Quando ti ho inferto la prima coltellata, mi hai guardato stupita. Poi hai socchiuso le labbra e gli occhi sono diventati umidi: quegli occhi verdi che un tempo mi fecero innamorare. Ti ho colpita ancora e il tuo sangue ha macchiato i polsini della camicia, la mia preferita, quella del matrimonio. Ancora per colpa tua non potrò neanche portarla in lavanderia. Ora sei distesa sul pavimento in una pozza di sangue. Mi siedo accanto a te e ti guardo dal mio inferno. Quanto sei bella, chissà cosa stai sognando. Passano le ore e il tuo corpo diventa sempre più freddo. Sento il telefono squillare, ma non rispondo. Al calar della sera il tuo viso ha pelle di luna.
Mi accorgo che bussano furiosamente alla porta. Sono i carabinieri che mi ordinano di aprire e sento la voce di tua sorella gridare il tuo nome. Ma io l’ho giΓ chiusa la porta della tua libertΓ .

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